I patrimoni trasferibili agli eredi non sono più composti solo da immobili, conti bancari, quote societarie o chiavi di cassette di sicurezza, ma sempre più spesso contengono anche investimenti gestiti online, patrimoni in criptovalute oppure atti di proprietà e certificati di autenticità basati su “NFT”, senza dimenticare le fotografie digitali, i profili social, le caselle di posta elettronica e relative corrispondenze, le chat e i contatti.
Inoltre, una grande quantità di dati viene archiviata su server remoti, accessibili solo on line tramite apposite credenziali che spesso contengono materiale con valore economico (progetti, ricerche, creazioni protette dal diritto d’autore) o anche solo affettivo (fotografie, video, lettere).
Tutti elementi di un’identità digitale che ci appartiene e che potremmo avere l’interesse venisse trasferito ai nostri eredi come nostro patrimonio digitale personale.
I servizi online sono diventati parte integrante della nostra vita perché tramite computer, tablet e smartphone lavoriamo, comunichiamo, gestiamo il conto corrente e gli investimenti, facciamo acquisti e proteggiamo tutte queste informazioni tramite le credenziali d’accesso ai servizi (“nome utente” e “password”) che dovrebbero essere conosciute solo dall’utente (oltre che cambiate frequentemente) e senza le quali non è possibile usufruire e gestire dei servizi che sfruttano la nostra identità digitale al servizio della gestione del nostro patrimonio digitale.
Quindi, in occasione del “trapasso”, da gestire non ci sono solo case, quadri e gioielli ma anche i beni “digitali” ponendo un problema di non poco conto: gli eredi potranno ricostruire la memoria del caro estinto e amministrarne i beni digitali anche se questi sono conservati online, in sistemi virtuali di cui non si possiedono le password? Come si gestisce l’eredità digitale?
L’eredità digitale non è altro che la trasmissione a terzi del “patrimonio digitale” di una persona in seguito alla sua morte.
Il patrimonio digitale, come detto, comprende una pluralità eterogenea di beni e rapporti giuridici relativi a informazioni conservate su supporto elettronico; si può trattare di beni con valore economico patrimoniale o anche solamente affettivo, gestiti digitalmente e magari protetti da password perché custoditi in un computer o tablet o smartphone oppure perché contenuti in siti internet ai quali si accede tramite nome utente e password.
L’era digitale pone nuove sfide in termini di diritto ereditario e chiunque dovrebbe chiedersi che cosa succederà ai suoi account digitali e ai suoi dati quando morirà ed è necessario predisporre per tempo cosa si vuole che accada al nostro patrimonio digitale dopo la morte, visto che le regole classiche per la successione dei patrimoni “non digitali” non sempre valgono per quelli digitali.
L’eredità digitale è una questione incredibilmente complicata e ci sono tantissimi fattori da tenere in conto perché sono molte le problematiche di carattere giuridico che provano a definire a chi appartengono realmente i nostri dati, oppure chi decide cosa succede ai nostri profili online quando moriamo.
Ad esempio, la proprietà e quindi il trasferimento per eredità di dispositivo informatico contenente documenti digitali, non consente automaticamente anche di poter di accedere al contenuto digitale del dispositivo stesso, dato che l’accesso è nella gran parte dei casi protetto da credenziali e se non si conoscono queste informazioni è comunque impossibile accedere al contenuto del dispositivo, se non eventualmente attraverso un’opera di hackeraggio informatico professionistico.
Inoltre, spesso, l’accesso al contenuto digitale è disciplinato da licenze d’uso o comunque da condizioni contrattuali che possono vincolare la trasmissibilità ad un erede, salva l’applicazione eventuale di norme inderogabili di legge.
Secondo la legge italiana, tutti i diritti passano agli eredi, ma senza le credenziali di accesso questi incontrano, probabilmente, numerose difficoltà di ordine pratico. Molti dei servizi online fanno capo a società che hanno sede all’estero, in paesi in cui la legislazione è differente dalla nostra, come per esempio la California e mancano regole internazionali comuni. Già la distanza, da sola, rappresenta un problema, per non parlare della necessità di rivolgersi a un avvocato del posto per far valere i propri diritti.
In Europa ed in particolare in Italia, vengono in aiuto le norme del diritto della privacy dato che questa disciplina si può applicare nel momento in cui il patrimonio digitale del defunto contenga dati personali di quest’ultimo e, considerando che per “dato personale” si intende “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile", questa normativa dev’essere tenuta in considerazione ogni qual volta si tratta del patrimonio digitale del defunto.
Il Regolamento generale sulla protezione dei dati 2016/679 “GDPR”, non si applica, però, in questa specifica materia e non contiene norme specifiche, anche se nel Considerando n. 27 del GDPR si prevede con una clausola di salvaguardia che “Il presente regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute. Gli Stati membri possono prevedere norme riguardanti il trattamento dei dati personali delle persone decedute”.
In sostanza, il GDPR lascia agli Stati membri la facoltà di disciplinare la specifica materia dell’eredità digitale e lo Stato italiano ha effettivamente sfruttato tale facoltà, introducendo nel Codice Privacy come modificato dal D.LGS. 101/2018, l’art. 2 terdecies “Diritti riguardanti le persone decedute” il quale, in sostanza, stabilisce che l’erede o il familiare possano esercitare i diritti previsti dal GDPR in merito ai dati personali del defunto, a meno che quest’ultimo non lo abbia espressamente vietato con specifica dichiarazione rilasciata in vita.
Esistono altri strumenti normativi che impattano nella gestione del patrimonio digitale come le norme del diritto d’autore oppure le clausole contrattuali per l’eredità digitale, tipicamente stabilite dai fornitori di servizi cloud o social network e vanno tenute in opportuna considerazione perché disciplinano gli effetti del decesso dell’utente nei confronti dell’account (alcuni consentono la sola cancellazione, altri, dimostrando il decesso con apposita documentazione, consegnano le credenziali d’accesso).
Prima di morire, comunque, buona norma è provvedere ad un inventario per determinare l’esatta consistenza del patrimonio digitale, censendo tutti i punti di accesso (cloud, siti web di servizio, social network, portali webmail, ecc) e stabilendo il modo corretto di comunicare le credenziali (quali pin, codici alfanumerici, OTP) agli eredi.
A tal proposito, dovrebbe subito balzare all’attenzione la necessità, ogni qualvolta vengono variate, di aggiornare il documento contenente le credenziali d’accesso da trasmettere in eredità, quindi, questa attività deve essere fatta con costanza e lo strumento tipico che viene utilizzato in accoppiata al documento testamentario è il “legato di passwords”; si tratta di un legato atipico di attribuzione del bene al quale si ha accesso con le credenziali comunicate. Si tratta di una disposizione a carattere particolare, che richiede pur sempre la forma testamentaria, tramite il quale il testatore può disporre per testamento il legato del bene e comunicare in altro modo le credenziali di accesso al legatario. In questo caso tornano utili gli strumenti informatici come i gestori di password (1Password, Bitwarden, LastPass, Dashlane, …) perché, con un'unica credenziale di accesso si può accedere al gestore con le password aggiornate di tutti gli account da passare in eredità. Ed il gioco è fatto.
Nel voler pensare alle modalità di trasferimento dei beni agli eredi, per evitare di rimanere a “metà del guado”, non dimentichiamoci di gestire correttamente i beni digitali perché, con poche semplici accortezze, si possono evitare dispendiose e non sempre efficaci attività mirate ad ottenere quando spetterebbe in via successoria.
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